L’ULTIMO successo dell’aviazione russa prima del parziale ritiro
dalla Siria deciso da Putin si chiama Palmira. Con una manovra a
tenaglia, resa possibile dall’intervento dei Mig di Mosca, l’esercito
siriano fedele ad Assad ha prima conquistato la catena montuosa al
Hayeh, a ovest di Palmira, e poi la parte orientale. Così la tv di
Damasco ha potuto annunciare ieri sera che i soldati siriani erano a
poche ore dalla piena riconquista della città.
Ma che Palmira
troveranno i soldati di Assad dopo quasi un anno di occupazione da parte
degli uomini del Califfato? Che ne è stato in questi mesi dello
stupendo sito archeologico patrimonio dell’umanità? Si sa di
distruzioni parziali dello splendido colonnato, di esecuzioni avvenute
fra i preziosi monumenti, di devastazioni degli edifici religiosi, ma
un’accurata stima dei danni, frutto di un attento sopralluogo, non è
mai stata possibile. Forse paralizzati dalla stupefacente bellezza di
Palmira, gli uomini del Califfato hanno preferito lasciar cadere un velo
di silenzio sulla sorte riservata alla città della regina Zenobia.
L’altra domanda che ci si pone è se un anno fa è stato fatto tutto il
possibile per evitare che Palmira cadesse nelle mani dello Stato
islamico. Dopo il ritiro dei soldati siriani, circolarono racconti di
atrocità commesse ai danni dei prigionieri come la decapitazione
dell’anziano archeologo Khaled al Asaad, 82 anni, cui venne mozzata la
testa per essersi rifiutato di guidare gli jihadisti nei luoghi dove
erano stati nascosti i tesori del sito. Nessuno credeva a un possibile
capovolgimento della guerra in così poco tempo.
Alberto Stabile
©RIPRODUZIONE RISERVATA
articolo da La Repubblica 24 marzo 2016
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