ROMA – «Appena sono arrivato pensavo di non continuare il mio lavoro, che sarei rimasto qui una settimana o due. Quando mi sono reso conto che sarebbero stati anni, ho capito che dovevo ricominciare da zero». Mahmoud Hariri è un pittore siriano di 25 anni. Dal 2013 vive nel campo profughi di Zaatari, in Giordania, allestito dall’Unhcr, Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. E’ fuggito dal suo Paese a causa del conflitto che sta provocando migliaia di morti. Quando è scappato con la speranza di trovare un futuro migliore, oltre alla guerra, si è lasciato alle spalle un cumolo di macerie, perché buona parte del patrimonio artistico-culturale della Siria è stato distrutto durante i bombardamenti e dallo Stato islamico. Per questo, Mahmoud, Ahmad, Ismail ed altri artisti siriani, hanno deciso di ricostruire le opere andate distrutte, sbriciolate, vandalizzate. Un patrimonio di ricchezza e bellezza artistica che può essere spazzato via dalle bombe, dai bulldozer, ma non dai ricordi. Ed allora, la Siria torna a rivivere nelle opere dei rifugiati.
IL PROGETTO DEGLI ARTISTI SIRIANI
IL PROGETTO DEGLI ARTISTI SIRIANI
«Molti ragazzi che vivono qui non hanno mai visto la Siria o non la ricordano. Conoscono più la Giordania che il loro Paese – ha detto Mahmoud – . Il progetto ha dato agli artisti un obiettivo, fare qualcosa per preservare la propria cultura». Ismail, per esempio, quando è arrivato al campo di Zaatari non sapeva se riprendere a scolpire, ma grazie a questo progetto ha riscoperto la sua passione. Ed ha ricostruito la Porta e l’Arco Nabateo di Bosra usando la pietra vulcanica trovata nel campo. Mahmoud, invece, ha costruito un modello dell’antica città di Palmira usando argilla e i legnetti del kebab. Quasi un segno del destino, perché proprio mentre lavorava a questo modello ha saputo che il sito storico era caduto sotto il controllo dei gruppi armati. «Questo è un modo per non dimenticare. Come artisti – ha evidenziato Mahmoud – abbiamo un compito importante. Molto di quello che conosciamo sulle antiche civiltà o la preistoria è stato preservato attraverso l’arte».
LE OPERE PER NON DIMENTICARE
LE OPERE PER NON DIMENTICARE
L’arte e le memoria, dunque, più forti della guerra, della violenza, dell’annientamento culturale. Per realizzare i modelli dei principali siti storici, gli artisti coinvolti in questa iniziativa usano i materiali disponibili nel campo: polistirolo, pietra, legno. La storia della Siria, quindi, rivive nelle fedelissime riproduzioni che sono state esposte nel Centro per la comunità gestito dall’Unhcr e da International Relief and Development ad Amman. Il ponte di Deir ez-Zor sul fiume Eufrate eretto nel 1927, la grande Moschea degli Omayyadi di Damasco costruita 1300 anni fa, la Ruota idraulica di Hama realizzata oltre 750 anni fa lungo il fiume Oronte, la Cittadella di Aleppo patrimonio dell’Umanità dell’Unesco dal 1986. Sono solo alcune delle opere esposte. Un modo da parte di Mahmou, Ismail e degli altri artisti per attirare l’attenzione sui rischi che corrono sul patrimonio culturale siriano e per dare la possibilità ai giovani rifugiati di ricordare il Paese da cui sono stati costretti a fuggire.
Foto di copertina – credit UNHCR/Christopher Herwig
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