di ANNA LOMBARDI
«Sì, il peggio sembra passato: anche se con lo Stato Islamico non si può
mai dire, lo abbiamo già visto ritirarsi e poi tentare nuove offensive. Ma di
sicuro a Palmira c’è tanto da fare: spero solo si agisca con metodo, senza
compiere atti frettolosi». Il professor Amr Al-Azm è l’archeologo che per anni
ha guidato i laboratori di restauro dei musei statali siriani. Ora vive in
America, dove insegna all’Istituto di studi Mediorientali della Shawnee
University, in Ohio. «I danni fatti dall’Is li conosciamo tutti, sono immensi.
Ma la buona notizia è che durante l’offensiva non ne sono stati fatti di
peggiori. Ora però bisogna vigilare sulla ricostruzione affinché non diventi un mero spot propagandistico».
Perché, cosa teme professore?
«Una ricostruzione frettolosa, che ignori il protocollo da applicare in
questi casi. Fatta solo per dire al mondo che l’esercito di Assad è tornato in
possesso di Palmira».
Quali sarebbero i passi necessari?
«Innanzi tutto documentare lo stato reale dei monumenti: perché oggi
contiamo solo su foto prese da lontano o in segreto dai pochi attivisti ancora
in zona. Bisogna mandare subito esperti sul terreno in grado di valutare la
stabilità dei monumenti. E cominciare al più presto a raccogliere e catalogare
i frammenti dei monumenti distrutti. Le pietre vanno recuperate e catalogate
una ad una. Come in un puzzle, si tratta di un processo lungo, ma un restauro
diverso potrebbe fare più danni».
E la ricostruzione con la tecnica 3D di cui si parla tanto?
«Con quella si possono al massimo realizzare simulacri che non avrebbero
certo lo stesso valore di un restauro archeologico reale. La mia idea è che per
l’Arco di trionfo si possa ancora fare qualcosa, le pietre sono lì. Mentre per
il tempio di Bal, ecco, magari si può immaginare un restauro fatto con pietre
vere e sopperire quelle mancanti col 3D. Ma in ogni caso sarà qualcosa di
completamente diverso, perché in questo tipo di ricostruzioni devi mostrare
cosa è autentico e cosa non lo è. Anche ricostruito, non sarà mai più in grado
di dare la stessa emozione dell’originale».
Se fosse lei a decidere, cosa farebbe?
«Per me la soluzione migliore è restaurare al meglio quel che resta e
magari creare un piccolo museo che raccolga la memoria di quei recenti fatti
atroci: foto, pietre, testimonianze. Ma il dibattito è aperto».
A Palmira ci sono dei “Monuments Men”, attivisti che si occupano dei
monumenti?
«Ci sono persone che fin quando l’area è stata sotto il controllo dell’Is
hanno svolto una attività di monitoraggio fondamentale. Ma ora il loro ruolo
sarà differente: e altrettanto complicato. Sappiamo che già in passato, ben
prima dell’Is insomma, membri dell’esercito sono stati coinvolti in furti di
opere archeologiche in quell’area. Non è escluso che questo si ripeta. E per
gli attivisti locali denunciarlo potrebbe essere pericoloso proprio come sotto
l’Is».
Sta dicendo che il fatto che l’esercito siriano sia a Palmira non preserva
l’area?
«Non mi fraintenda: la presenza dell’Is era senz’altro la cosa peggiore. Ma
soldati in un sito archeologico non sono storicamente mai stati una buona
soluzione. Non sono interessati a prendersene cura e c’è sempre il rischio che
singoli individui rubino qualcosa, anche se si tratterebbe di un danno minore
rispetto ai furti istituzionalizzati dell’Is. Quello che serve è una presenza
super partes. Ma per arrivarci serve ricostruire le infrastrutture e la città
moderna, quasi interamente distrutta».
Pensa che sia prioritaria al restauro del sito archeologico?
«Dal punto di vista umanitario la priorità è assoluta. Bisogna far
rientrare la gente in città, anche perché senza infrastrutture ogni restauro,
appunto, è impensabile».
Il restauro di Palmira avrà un ruolo nel futuro della Siria?
«Assolutamente sì. Zenobia, la regina di Palmira che si ribellò al
controllo romano, è una delle nostre principali eroine, quel luogo fa
profondamente parte della nostra identità di siriani. Questa è una delle poche
cose su cui concordano anche le parti ostili presenti ai negoziati di pace: il
patrimonio culturale comune sarà la base per rifondare il Paese. È la nostra
sola speranza di rinascita e di futuro».
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