martedì 29 novembre 2016

“Palmyra: omaggio a Khalid Muhammad al-As’ad”: ecco la traduzione italiana della guida al sito Patrimonio Mondiale UNESCO


Si intitola “Palmyra: omaggio a Khalid Muhammad al-As’ad” la traduzione italiana della guida archeologica scritta dal direttore del sito patrimonio mondiale UNESCO, barbaramente trucidato dall’ISIS un anno fa, realizzata dalla Società Dante Alighieri con la Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO ed edita da Archeo.

La presentazione del volume si terrà lunedì 12 dicembre alle 17.00 a Roma, presso la Galleria del Primaticco – Palazzo Firenze – Piazza di Firenze. “Si tratta di un tributo al coraggio del direttore del sito, Khalid Muhammad al-As’ad – sottolineano dalla Commissione Nazionale – e un’occasione per saperne di più su un luogo meraviglioso e ricco di storia”.

Questo il programma dell’evento: saluti istituzionali di Alessandro Masi, Segretario generale della Società Dante Alighieri; Franco Bernabè, Presidente Commissione Nazionale UNESCO; Francesco Rutelli, Presidente Associazione Incontro di Civiltà. A seguire, sono previsti gli interventi del Prof. Marco Di Branco, L’Islam e le immagini: breve storia di un malinteso; Prof.ssa Maria Teresa Grassi, La Palmyra di Khalid Muhammad al-As’ad; Andreas Steiner (Direttore editoriale di Archeo), Presentazione del volume di Khalid Muhammad al-As’ad. Le conclusioni sono affidate al Prof. Paolo Matthiae.

martedì 23 agosto 2016

La distruzione di beni artistici diventa un crimine di guerra

Articolo da La Stampa 22 agosto 2016

All’Aja per la prima volta va alla sbarra un jihadista accusato di aver partecipato 
alladistruzione di nove monumenti a Timbuctù in Mali
AP
Un uomo prega sui resti di un mausoleo islamico devastato dai terroristi a Timbuctù

22/08/2016
PRETORIA (SUDAFRICA)
Per la prima volta in assoluto la Corte penale internazionale dell’Aia potrebbe condannare per crimini contro l’umanità un jihadista del Mali per aver distrutto monumenti storici e religiosi. Una pietra miliare nel diritto che d’ora in poi paragonerebbe omicidi di massa alla demolizione del patrimonio culturale. 


L’imputato del processo, che da oggi entra nella fase finale per arrivare a sentenza entro fine settimana, è Ahmad Al Faqih al-Mahdi, noto come Abu Tourab, in custodia all’Aia dal 26 settembre 2015 con l’accusa di aver distrutto nel 2012 a Timbuctù nove tra moschee e mausolei costruiti tra il XIII e il XVII secolo. Un’azione voluta dal gruppo jihadista Ansar Dine, affiliato ad Al-Qaida nel Maghreb (Aqim), mirata a radere al suolo le tombe dei santi musulmani considerati apostati da parte dei terroristi. In quanto ex guida turistica, i terroristi misero al-Mahdi a capo della brigata Hesbah, con l’obbiettivo di eliminare le testimonianze dei santi sufi, profanare i simboli religiosi e bruciare i preziosi manoscritti del XIII secolo. Operazione riuscita solo in parte grazie all’azione eroica di Abdel Kader Haidara, un collezionista privato che venuto a sapere dei piani dei miliziani, nel pieno della guerra civile del 2012, riuscì a mettere in salvo quasi tutti i 400 mila manoscritti portandoli nella capitale Bamako via terra e via mare.  

«Ci troviamo di fronte a un caso di sfregio della dignità e dell’identità di un’intera popolazione e delle sue radici etniche e religiose», ha affermato Fatou Bensouda, il pubblico ministero che guida le indagini. Arrestato dalle truppe francesi e detenuto in Niger prima di essere trasferito all’Aia, al-Mahdi è anche il primo imputato che si riconosce colpevole dei crimini di cui è accusato, come ha confermato anche il suo avvocato: «Vuole essere onesto con sé stesso e chiedere perdono alla gente di Timbuctù e del Mali». 

Il suo non è il primo caso di jihadismo contro il patrimonio culturale. Era successo con i taleban in Afghanistan, colpevoli di aver fatto esplodere i Buddha di Bamiyan, e la stessa sorte era capitata ai tesori di Nimrud in Iraq e di Palmira in Siria a opera dello Stato Islamico. 

giovedì 26 maggio 2016

Bellissime foto di Palmira

Bellissime immagini di Palmira


Archeologia e vandalismo: distruggere l'arte

Archeologia e vandalismo: distruggere l'arte

ARCHEOLOGIA E VANDALISMO – DISTRUGGERE L’ ARTE – DAGLI ASSIRI AI CONQUISTADORES E OGGI L’ISIS – UNA VITTORIA PER DELL’IGNORANZA – IMPENSABILE IN UN MONDO DOVE SI INSEGNA IL VALORE DELL’ARTE

L’iconoclastia ha, disgraziatamente, attraversato tutte le culture e religioni !
Distruggere, cancellare i segni del nemico lo si vede anche nella cultura egizia, dove i cartigli dei faraoni “nemici” venivano anche malamente e frettolosamente cancellati; tanto che se ne vedono bene i segni ancora oggi.
Anche all’epoca dei sumeri, il vincitore tagliava la testa al re nemico.
Quando si faceva una statua, nella bocca si insufflava “vita”, e il rituale era chiamato “l’apertura della bocca”.
Quindi, le teste delle statue del nemico sconfitto rappresentavano qualcosa di più del semplice monumento.
Infatti queste ultime venivano tenute come ammonimento.
Il sovrano assiro Assurbanipal ci ha lasciato questo scritto, a proposito di una devastazione di una statua; “Questa è l’immagine di Halllusu re dell’Assiria di Elam. La sua bocca che ha schernito, io ho tagliato, le sue labbra che hanno offeso, io ho reciso, le sue mani che hanno usato un arco per attaccare l’Assiria, io ho mozzato”.
Anche tra i Maya nell’ 800 d.C. si è trovata una frammentazione meticolosa del trono di Piedras Negras in Messico.
E’ onesto ricordare che il Corano non contiene divieti espliciti contro le immagini, ma gli arabi, purtroppo, sono stati influenzati dall’iconoclastia bizantina, che nei secoli VII e IX durante l’Impero Romano D’Oriente, distrusse le immagini sacre; come opposizione al cristianesimo occidentale.
E pure giusto ricordare che si tratta pure di islamici, quando parliamo di archeologi e direttori di musei che hanno rischiato o perso la vita per salvare le opere d’arte di Kabul e Baghdad e Palmira.
E’ il caso del tesoro della regina di Nimrud, salvati dagli archeologi del Museo di Bagdad nel 2015 riponendoli in un bunker segreto della Banca Centrale Irachena. Oggi sono stati recuperati e sono ancora in un altro luogo segreto.
ULTIMO NEL TEMPO, MA NON CERTO ULTIMO PER IMPORTANZA, IL SACRIFICIO FINO ALLA MORTE PER TORTURA DI KHALED ASAAD.
E’ ACCADUTO A PALMIRA.
In un mondo dove l’egoismo e la furbizia stravincono :
un uomo, l’archeologo Khaled Asaad, ha resistito a un mese di torture ed è stato decapitato. (vedi nostro articolo al link: http://www.donnecultura.eu/?p=23775)
Non ha mai voluto lasciare la sua città Palmira, dove era direttore dei Musei Archeologici.
Di lui l’archeologo, scrittore Valerio Massimo Manfredi ha detto :
“Mi sento ferito, offeso, indignato di fronte all’inerzia del mondo. Un’inerzia vergognosa e codarda”.

sabato 21 maggio 2016

Palmira: la cultura che unisce contro la barbarie che distrugge

Articolo originale qui

Presentato a Roma il progetto 'I belong to': 

un po' di Italia nella ricostruzione delle antiche rovine

Palmira: la cultura che unisce contro la barbarie che distrugge
Ci sarà anche un po' di Italia a Palmira. In un incontro tenutosi giovedì 19 maggio a Roma, infatti, è stato presentato il progetto, patrocinato dal Ministero del turismo siriano ed intitolato “I belong to” (“Appartengo a”), che l'associazione italiana di volontariato internazionale Solidarité Identités e la Comunità Siriana in Italiahanno deciso di portare nel nostro Paese.
Il progetto – scrive in proposito Ada Oppedisano su Il Primato nazionale – consiste nel mettere a disposizione dei donatori alcune riproduzioni della tavoletta su cui è stato inciso il trattato di pace più antico del mondo, realizzate dal celebre scultore siriano Mustafa Ali. Il ricavato di queste donazioni andrà direttamente a finanziare le opere di restauro dell'antica città di Palmira. Ed in segno di riconoscenza il ministero del turismo siriano offrirà al donatore un soggiorno per due notti in un celebre hotel di Damasco”.
Oltretutto – ed è importante quanto il contributo concreto alla ricostruzione – la realizzazione di questo progetto rappresenta “il rinnovo di un patto di amicizia e di fratellanza che lega da millenni i popoli mediterranei, in un ponte di solidarietà che parte da Roma per giungere a Damasco. La Siria – conclude Oppedisano – è un Paese che condivide con noi un destino comune, che si perde nella nascita della civiltà. In quella terra giacciono i frammenti di un passato glorioso, i segni indelebili di una grandezza che ci unisce nel solco della civiltà romana”.
CdG

martedì 5 aprile 2016

Palmira ritorna patrimonio di tutti

L'articolo di Valentina Porcheddu per Il Manifesto 

Palmira ritorna patrimonio di tutti

La città liberata. Intervista a Maamoun Abdulkarim, direttore generale alle Antichità siriane: «Ripareremo ai danni inferti al sito dal Daesh. Ma prima dovremmo iniziare a parlare di ricostruzione culturale»

 
Soldati siriani tra le rovine di Palmira

«Palmira è tornata al patrimonio siriano e io ho ritrovato il senso del mio lavoro perché se in questi ultimi anni ho scelto di non abbandonare la Siria è proprio per non venir meno ai miei doveri di studioso e rivendicare i miei diritti di cittadino». A circa una settimana dalla cacciata dei miliziani del «califfo» Al-Baghdadi da Palmira – la città carovaniera iscritta dal 1980 alla lista dell’Unesco – Maamoun Abdulkarim ci parla al telefono da Damasco. Dalla voce appare sollevato sebbene la sua attitudine resti combattiva. Docente di archeologia romana presso l’Università di Damasco, Abdulkarim ricopre dal 2012 il ruolo di direttore generale alle Antichità e ai Musei siriani, missione che con l’inasprirsi della crisi e l’avanzata del sedicente Stato islamico ha richiesto coraggio, nervi saldi e fiducia in un futuro meno buio, nel quale uomini e pietre possano nuovamente porsi in dialogo col mondo.
Nell’intervista concessa al manifesto nel settembre 2015 definiva Palmira una città in ostaggio. Adesso che è stata liberata, si è già recato sul posto?
Non ancora ma un’equipe del Dgam (Directorate-General of Antiquities and Museums, ndr) è già in azione sul campo. Parallelamente si sta procedendo con lo sminamento perché – com’è noto – il progetto di Daesh era di far esplodere per intero il sito.
Sui media circolano immagini che mostrano lo stato delle rovine dopo l’occupazione dei jihadisti. Scenario non apocalittico ma che lascia ugualmente sgomenti per la gravità dei danni.
Occorre guardare a ciò che non abbiamo perso. Dal punto di vista architettonico, Palmira si conserva quasi integralmente. La cittadella – benché danneggiata dai combattimenti dell’ultimo periodo –, la grande strada colonnata, il tetrapilo, l’agorà, il Campo di Diocleziano, le terme e il santuario di Nabu sono scampati agli intenti distruttivi dell’Isis. Anche le torri funerarie meno elevate sono in piedi. Il paesaggio del sito è salvo, sebbene mutilo. Invece, gli scavi clandestini svolti da Daesh in collaborazione con criminali e «mafiosi» hanno devastato zone ancora da indagare.
In Europa, malgrado il conflitto siriano sia lungi dall’essere risolto, si parla già della ricostruzione di Palmira. È opportuno?
Da parte nostra, abbiamo individuato gli edifici colpiti dall’Isis che sarà possibile recuperare. Ad esempio, la scalinata e il podio del tempio di Bêl – la cui cella è saltata in aria – sono intatti, assieme alla porta monumentale. Anche le mura del recinto persistono. Le colonne non si sono frantumate ma solo «scomposte». Alcuni blocchi della decorazione sono integri e in situ. Secondo i primi riscontri, dunque, il 30% del tempio di Bêl potrà essere restaurato e si potrà eventualmente reintegrare con materiali estratti da cave locali. L’insieme delle operazioni andrà valutato da un comitato internazionale e sotto l’egida Unesco. Le responsabilità devono essere condivise proprio perché Palmira è patrimonio dell’umanità intera. Ma non abbiamo mai pensato di ricostruire da zero i monumenti, il nostro scopo è agire sulla base di presupposti scientifici.
In Italia è stato proposto di realizzare copie dei templi di Bêl e Baalshamin per mezzo di una mega stampante 3d…
La tecnologia 3d sarà senz’altro utile ma per lo studio architettonico finalizzato ai restauri. Le questioni inerenti il patrimonio siriano sono molto politicizzate e rischiano di distorcere la realtà. Per me Palmira appartiene a tutti i siriani, siano essi pro o contro l’attuale governo. Bisognerebbe iniziare a parlare di ricostruzione culturale, piuttosto. In questo senso sono grato specialmente ai colleghi italiani e tedeschi per non aver mai interrotto le relazioni con il Dgam e per averci anzi sostenuto. Sono anche commosso per la sensibilità con cui l’Italia ha voluto onorare – con numerose iniziative – la memoria di Khaled al-As’ad (il direttore delle antichità di Palmira ucciso dall’Isis lo scorso agosto,ndr).
Come rimedierete alle catastrofiche condizioni del museo di Palmira rivelateci dalle riprese post-liberazione?
Per fortuna Daesh non ha usato al museo di Palmira la violenza espressa a Mosul. Le statue che si vedono nelle foto sono quelle che non siamo riusciti a evacuare prima dell’arrivo dei miliziani. Molte sculture sono state sfigurate. Malgrado ciò, sarà possibile effettuare dei restauri persino dell’imponente Leone di Allat, la statua che si trovava all’ingresso ed è stata abbattuta ma non polverizzata.
Le risultano saccheggi?
No, perché prima del maggio 2015 avevamo messo in salvo gli oggetti facilmente commerciabili. Ai jihadisti non interessano le statue perché sono contro la loro ideologia iconoclasta. Cercano oro, argento, monete, vasi, vetri preziosi… Daesh ha venduto licenze di scavo a bande di criminali proprio per ricavarne tesori da immettere nel mercato clandestino. Un giorno potremo riportare i reperti trasferiti a Damasco a Palmira, ma bisognerà attendere la fine delle ostilità. Non solo a Tadmor. In tutta la Siria.

L’Italia a Bagdad «In prima fila per la cultura»

Articolo originale dal Corriere della Sera 5 aprile 2016 

L’impegno dell’Italia a sostegno della sicurezza e dello sviluppo dell’Iraq è stato ribadito nel corso della visita a Bagdad del sottosegretario agli Esteri, Vincenzo Amendola, che ieri nella capitale irachena ha incontrato il presidente della Repubblica, Fuad Masoum e il ministro degli Affari Esteri, Ibrahim al Jaafari. Gli interlocutori iracheni — ha fatto sapere la Farnesina — hanno ringraziato l’Italia per il fondamentale contributo di Roma nel contrasto all’Isis, nella stabilizzazione del Paese e nella tutela del suo patrimonio culturale. Inaugurando successivamente il nuovo Istituto culturale italo-iracheno per l’archeologia ed il restauro dei monumenti, Amendola (a destra nella foto) ha indicato come l’esemplare lavoro degli esperti e degli archeologi italiani in Iraq ben illustri il ruolo dell’Italia quale «superpotenza culturale», attenta alla valorizzazione del patrimonio delle grandi civiltà universali. All’inaugurazione era tra gli altri presente anche il viceministro per le Antichità, Qais Rasheed. L’Istituto, gestito dal Centro ricerche archeologiche e scavi di Torino e finanziato dal ministero degli Esteri, rappresenta un nuovo polo in grado di attivare percorsi di formazione a beneficio di funzionari iracheni e varie iniziative di natura culturale. Sarà inoltre un centro polifunzionale per l’organizzazione di progetti di ricerca e attività culturali.

lunedì 4 aprile 2016

Tra le rovine di Palmira per riscrivere la storia

da Internazionale

Tra le rovine di Palmira per riscrivere la storia
 

Palmira, Siria, 1 aprile 2016. L’automobile accelera, e il mio cuore batte sempre più forte. È domenica 27 marzo e sfrecciamo attraverso il deserto siriano diretti a Palmira, la celebre città dell’antichità dalla quale il gruppo Stato islamico (Is) è appena stato costretto a ritirarsi, dieci mesi dopo averla conquistata.
Le mie fonti hanno confermato che l’esercito siriano ha ripreso il controllo totale sulla città e sul vicino sito archeologico, risalente a oltre duemila anni fa. La notizia ha fatto il giro del mondo e l’Afp sarà la prima testata straniera a entrare a Palmira. Sono letteralmente sopraffatto dalla gioia. Non solo perché sto per realizzare uno scoop ma soprattuto perché ho potuto annunciare una notizia che da tanto tempo moltissime persone, in Siria e altrove, speravano di ascoltare.
Dopo un po’ il mio telefono comincia a suonare, senza interruzione. Sono i miei colleghi dell’ufficio di Beirut, i miei amici siriani rifugiati in Germania, in Norvegia, in Libano o in Turchia. Tutti mi fanno la stessa domanda: in che condizioni è il sito archeologico?
Non so ancora la risposta. E la verità è che ho paura di scoprirla.
Mentre ci avviciniamo a Palmira, vedo una nuvola di fumo nero che si alza al di sopra della città, testimonianza della feroce battaglia appena conclusa. Sono sommerso da un misto di emozioni tanto potenti quanto contraddittorie: gioia ma anche tristezza, ansia e apprensione.
I resti dell’arco di trionfo di Palmira, in Siria, il 31 marzo 2016. - Joseph Eid, Afp
I resti dell’arco di trionfo di Palmira, in Siria, il 31 marzo 2016. 
Gioia, perché sarò uno dei primi a entrare a Palmira e a raccontare al mondo quel che ho visto. Tristezza, perché inevitabilmente darò alla gente un primo assaggio delle distruzioni compiute dall’Is in questo straordinario sito. Ansia, perché io stesso ho paura di avere il cuore spezzato vedendo i danni. Tutte le comunicazioni tra la città e il resto del mondo sono state interrotte durante i combattimenti. In questo momento, non sappiamo neanche se i jihadisti hanno mantenuto la loro parola: se, prima di ritirarsi, hanno fatto esplodere fino all’ultimo monumento della vecchia città greco-romana.
E apprensione, perché entro in una città che fino a pochi giorni fa era ancora controllata dai combattenti dell’Is. Ho sentito naturalmente parlare del loro fanatismo e della loro abitudine di lasciare dietro di sé ogni sorta di trappola mortale, sotto forma di ordigni esplosivi improvvisati.
Come raccontare?
Tutte queste emozioni cominciano a svanire mano a mano che le mie preoccupazioni professionali tornano in primo piano. Verifico la batteria della macchina fotografica, del registratore e del telefono. Indosso un cappellino dell’Afp e impugno matita e bloc notes. Come racconterò questa storia? Come potrò trasmettere al mondo quel che sto per vedere?
Siamo ormai a cinquecento metri dalla città antica. Un primo colpo d’occhio in direzione del sito storico fa subito riaccelerare il mio battito cardiaco. È una visione reale? Quelle colonne sono ancora in piedi? E il teatro? E la cittadella? Intorno a me, osservo molta distruzione. Ma alcune cose sono ancora al loro posto, dove non mi aspettavo di trovare altro che un ammasso di macerie
Mi volto verso il mio accompagnatore militare siriano. “Posso andare a vedere le rovine?”. Scuote la testa. Impossibile, dice. “La città vecchia è piena di mine. È molto pericoloso. L’Is era qui solo qualche ora fa, non se lo dimentichi. Bisogna fare attenzione, molta attenzione”.
Film dell’orrore in una città fantasma
Non potendo accedere al sito archeologico, facciamo un giro nei quartieri residenziali di Palmira. È una città fantasma. L’atmosfera mi ricorda alcune scene di film dell’orrore di molto tempo fa. Una città con le strade piene di fumo. Niente è stato risparmiato. Ci sono carcasse di automobili in mezzo alla strada. Edifici demoliti, appartamenti devastati con le porte ancora aperte. Interi quartieri sono stati distrutti dalla guerra. Il silenzio è totale, lugubre, rotto soltanto dal rumore del vento e dalle sporadiche esplosioni in lontananza. L’aria del deserto solleva una polvere gialla e spessa.
I resti di una statua nella periferia di Palmira, in Siria, il 31 marzo 2016. - Joseph Eid, Afp
I resti di una statua nella periferia di Palmira, in Siria, il 31 marzo 2016. 
Mi ritrovo a esplorare in punta di piedi quello che un tempo era un complesso d’edifici residenziali. Do un’occhiata ai crateri lasciati da scontri d’artiglieria recentissimi. Non vedo nessuno. Eppure ci sono alcuni segni di vita: della mercanzia intonsa in piccoli negozi, mobili rimasti in appartamenti abbandonati. È come se gli abitanti se ne fossero andati all’improvviso senza fare le valigie. Quanto ai jihadisti, sembrano non aver lasciato niente, se non qualche bandiera nera e qualche pila di scartoffie amministrative.
Esplosioni lontane
In città avanzo con prudenza. Faccio attenzione a ogni passo, a causa delle mine. Mi sforzo di ascoltare il mio accompagnatore militare che mi suggerisce dove andare. Mi guardo intorno, alla ricerca di qualcuno, di qualsiasi persona in grado d’indicarmi dove mi trovo esattamente, di dirmi quale sia il nome della via in cui sto camminando. Con voce alta e forte chiedo: “C’è qualcuno?”. Ma l’unica risposta che ricevo sono sempre il vento e le esplosioni lontane.
Concludiamo la nostra “passeggiata” nei quartieri residenziali e ci ritroviamo sulla piazza principale della città. Cerco di chiamare l’ufficio dell’Afp per dare mie notizie e inviare alcune foto, ma invano. Non c’è campo. Mentre aspettiamo che l’esercito finisca di sminare la strada che conduce alla città antica, il clima si fa un po’ meno teso. Alcuni si mettono a sorseggiare un infuso d’erbe. Molti scattano delle foto ricordo di questo momento storico.
Soldati russi a Palmira, in Siria, il 31 marzo 2016. - Joseph Eid, Afp
Soldati russi a Palmira, in Siria, il 31 marzo 2016. 
Finalmente ci autorizzano a entrare nel sito. Cerco di non precipitarmi. Non solo per non mettere i piedi nel posto sbagliato ma anche per riempirmi gli occhi di quei monumenti, per cercare d’immaginare le centinaia e centinaia di battaglie e di disastri che hanno devastato questa città nel corso dei secoli, prima di finire nell’oblio. I drammi si dissolvono sempre. La terra, invece, resta dov’è. La storia rimane.
Montagne russe emotive
Faccio una pausa per scarabocchiare alcuni appunti sul mio taccuino, per fare una foto, per filmare. In realtà mi fermo così spesso che i miei colleghi finiscono per averne abbastanza di me e mi lasciano lavorare da solo, per conto mio.
Attraversare queste rovine archeologiche è come salire su delle montagne russe emotive. Proprio quando comincio a sentirmi al sicuro, quando la paura degli ordigni artigianali comincia ad abbandonarmi, il rumore d’una detonazione riecheggia in lontananza. Allora m’irrigidisco, e ricomincio a camminare con prudenza sul terreno sabbioso.
All’improvviso mi ritrovo nel celebre teatro romano di Palmira. È ancora in piedi. Sul mio viso si disegna un ampio sorriso di sollievo. Ma il sorriso sparisce poco dopo, quando scopro che l’Arco di trionfo è stato totalmente distrutto. Mi dirigo poi verso quello che un tempo era il tempio di Baal. Un’opera architettonica di enorme importanza, che mescolava gli stili greco, romano e mediorientale. Non ne rimane che un cumulo di pietre che si scaldano sotto il sole di mezzogiorno. Alcuni fiori gialli hanno invaso i detriti.
I resti della cella del tempio di Bel, a Palmira, in Siria, il 31 marzo 2016. - Joseph Eid, Afp
I resti della cella del tempio di Bel, a Palmira, in Siria, il 31 marzo 2016. 
Ed è solo l’inizio. Le torri funerarie sono state parzialmente demolite. Quasi dappertutto sono state abbattute delle colonne. Ma molte sono ancora in piedi, testimoni di tutto quello che è successo qui.
Tutto sommato la gioia prevale sulla tristezza. I danni sono pesanti, ma il sito archeologico è sopravvissuto. Festeggio questa constatazione nell’unico modo possibile in questo momento: con un autoscatto. Sorrido con il mio cappellino dell’Afp e fotografo me stesso in mezzo alle rovine.
Appena il mio telefono riesce a collegarsi alla rete, mi affretto a pubblicare questa foto su Twitter commentando: “L’Afp a Palmira”.
Mi ricordo che, da piccolo, facevo il gradasso coi miei amici dicendo che avevo visto Palmira, anche se non avevo che dei ricordi molto fumosi, privi di dettagli.
Oggi sono fiero d’aver visitato Palmira per la seconda volta. Sono fiero anche d’essere stato il primo corrispondente di una testata straniera ad arrivare sul luogo dopo la riconquista della città da parte delle forze siriane. Le mie immagini hanno fatto il giro del mondo.
Palmira è stato uno dei principali fari culturali dell’antichità. E, per me, questa città è diventata anche il principale traguardo della mia giovane carriera di giornalista. Ho cominciato questo lavoro da meno di un anno e l’aver già raccontato un evento importante come la riconquista di Palmira, strappata all’Is, rafforza la mia autostima. Non dimenticherò mai questa giornata.
Il mio soggiorno a Palmira finisce all’alba. Torniamo sui nostri passi, attraversiamo un posto di blocco governativo, e all’improvviso il mio telefono ricomincia a prendere. Dall’automobile in movimento comincio a trasmettere i miei racconti. Al contempo ricevo una valanga di messaggi dai miei colleghi. Rim, Loay e Youssef a Damasco. Rouba, Layal, Raba, Sammy e Joseph a Beirut. Sono tutti ansiosi di sapere quello che ho visto. Allora gli racconto tutto. Quando finalmente rientro a Damasco, dopo un passaggio a Homs, ricevo una chiamata della mia collega Maya da Beirut.
“Stiamo scrivendo la storia”, mi dice.
(Traduzione di Federico Ferrone)

Il collezionista di San Mauro: “Ho comprato un pezzo di Palmira non so come sia arrivato a Parigi”

Il collezionista di San Mauro: “Ho comprato un pezzo di Palmira non so come sia arrivato a Parigi”
Articolo originale da La Stampa
La lastra raffigura un Cesare su un triclinio con vicino un servo che gli versa il vino

Il reperto in mostra è una lastra di chiusura di una tomba


NOEMI PENNA
TORINO
Di Palmira abbiamo negli occhi le immagini della devastazione. Un’oasi nel deserto siriano, patrimonio mondiale dell’umanità, saccheggiato e distrutto dagli jihadisti del Califfato che hanno occupato l’antichissima città per dieci mesi. Uno scempio già accaduto nei siti archeologici di Hatra e Nimrud, in Iraq, dove con asce, picconi, bulldozer e kalashnikov sono stati distrutti reperti d’inestimabile valore. Ma uno di quei preziosi cimeli ora si trova più vicino che mai, a San Mauro, e da mercoledì lo si potrà anche ammirare in mostra a Palazzo Saluzzo di Paesana.  

IN ESPOSIZIONE  
Si tratta di una lastra di chiusura di una tomba di Palmira, probabilmente romana, risalente al terzo secolo dopo Cristo. Un bassorilievo con due figure incise: un Cesare su un triclinio, con accanto il suo giovane servo intento a versagli il vino . Un oggetto così pesante, e d’inestimabile valore, su cui aleggia un mistero: com’è arrivato in Europa? Quando e soprattutto con chi?  
Un enigma che affascina anche il suo attuale proprietario, il professor Maurizio Candiani, che lo ha acquistato a gennaio a Parigi, da una mercante d’arte di St-Germain-des-prés. «Una professionista seria che conosce bene i miei gusti e la mia passione per l’archeologia mediterranea. Mi ha chiamato per dirmi che era venuta in possesso di questo oggetto particolare, dagli Anni 60 appartenente ad una famiglia tedesca. Ho chiesto maggiori informazioni e documenti ma, purtroppo, non mi sono stati forniti. Come indizio ho solo il nome di una donna, la signora Rulhe di Berlino», racconta. La lastra in calcare duro ora è stata importata regolarmente in Italia e ha destato l’interesse anche della Soprintendenza dei beni archeologici, che ha avviato la procedura per dichiarare il reperto di Palmira un bene nazionale. 

APPASSIONATO  
Il professor Candiani è appassionato di archeologia «da sempre. Insegnavo diritto alle scuole medie e ho approfittato della prima finestra per andare in pensione – nel 1992, a 45 anni – per dedicarmi a tempo pieno alla mia galleria d’antichità», a San Mauro. Ma «la lastra di Palmira non è in vendita: fa parte della mia collezione privata e in questi primi mesi l’ho tenuta in salotto, a terra, sopra una coperta di velluto nero. Pur essendo grande solo 40 centimetri per 50 ci vanno due persone per spostarla».  
Lunedì sarà trasferita a Palazzo Saluzzo Paesana, dove verrà esposta al pubblico per la prima volta nella mostra «Antiche emozioni – Il passato guarda al futuro», organizzata dell’Associazione Piemontese Antiquari in collaborazione con Ascom. In esposizione, dal 7 al 10 aprile, ci saranno solo opere dal pedigree «molto particolare», come una banda cerimoniale copta del Secondo secolo di Marco Lombardo, sculture lignee bodhisattva di Ajassa e un’ancella in legno di Sicomoro di Saqqara di 2500 anni fa, anche questa di Candiani. Un tuffo nel passato per farsi avvolgere nel mistero e apprezzare uno dei pochi tesori rimasti di Palmira, da cui nelle ultime ore sono arrivate solo immagini di morte e distruzione.  


mercoledì 30 marzo 2016

PALMIRA: così può rinascere dopo la furia dell'IS

da La Repubblica, 30 marzo 2016



di PAOLO MATTHIAE

La liberazione di Palmira dall’occupazione delle bande nere dell’Is, dopo dieci mesi di incontrastato e violento controllo della moderna cittadina di Tadmor e dello straordinario campo di rovine della città di Zenobia, apre uno scenario nuovo e complesso nella prospettiva del restauro, della ricostruzione e della rinascita delle opere, dei monumenti, del museo della spettacolare perla del deserto, fiorita per almeno tre secoli agli inizi dell’era cristiana in una posizione strategica fondamentale tra gli imperi di Roma, da un lato, e dei Parti prima e dei Sasanidi poi, dall’altro.
LA CONTA DEI DANNI
Pur nel travaglio di una crudelissima guerra civile che sembrava senza fine, l’accorta prudenza usata dall’esercito regolare della Repubblica Araba Siriana nel riconquistare una piccola città, un tempo di circa 80.000 abitanti ridotti a non molte centinaia dopo l’occupazione, ancor oggi strategica per raggiungere attraverso il deserto le città orientali di Raqqa e di Deir ez-Zor sull’Eufrate, ha evitato danni ulteriori alla città.
In queste ore, in cui il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon e la direttrice generale dell’Unesco Irina Bokova hanno pubblicamente espresso la loro soddisfazione per l’avvenuta liberazione, si contano sul campo i danni e si analizza la situazione drammatica delle distruzioni, si studiano le iniziative per la riabilitazione di un sito storico di incomparabile valore, si progettano ipotesi di interventi per la realizzazione di un compito obiettivamente difficile, problematico, complesso.
IL DIRETTORE DELLE ANTICHITÀ
Una notizia positiva è la presenza immediata a Palmira di Maamoun Abdulkerim, direttore generale delle Antichità e dei Musei di Damasco, di cui è apprezzato universalmente l’impegno tenace ed equilibrato per la disperata quanto efficace difesa di molti tesori archeologici tempestivamente sottratti ai rischi micidiali, paradossalmente, da un lato, delle distruzioni indiscriminate e, dall’altro, dello smercio sul mercato antiquario internazionale. Dati preliminari, ma finalmente documentati, cominciano ad essere disponibili proprio per le documentazioni fotografiche d’urgenza diffuse dalla Direzione generale delle Antichità e per i video con le riprese effettuate dai droni russi sulla distesa delle rovine della città antica.
RESTAURARE O RICOSTRUIRE?
Il dilemma di fondo, ovviamente, è: restaurare limitandosi a consolidare e stabilizzare lo stato di degrado estremo dei resti scampati alle esplosioni e agli abbattimenti brutali o restituire con le moderne avanzate tecniche di ricomposizione a quei resti sfigurati lo stato di rovine precedente all’imperversare della furia devastatrice dell’Is?
Le risposte possono essere molteplici, ma l’esempio di quanto è stato fatto, dopo i disastri della Seconda guerra mondiale, al centro monumentale di Dresda e al Peterhof presso San Pietroburgo, ma anche a Montecassino e a San Lorenzo a Roma, oggi che le tecniche che possono essere impiegate sono incomparabili a quelle del passato dopoguerra, appare illuminante e perseguibile. Si deve restituire al civilissimo popolo della Siria quanto la barbarie fondamentalista dell’Is ha voluto sottrargli.
Nel tempo della ricostruzione, tuttavia, ogni ingenuo volontarismo, ogni dilettantismo entusiasta, ogni interessata disponibilità non deve essere presa seriamente in considerazione. Alla gravità di un’emergenza drammatica devono fare riscontro conoscenze scientifiche, competenze comprovate, esperienze sperimentate nella piena trasparenza delle procedure e delle realizzazioni.


I TESORI PIÙ COLPITI
È fin da ora evidente che gli interventi prevedibili per queste restituzioni, secondo il livello di degrado dei monumenti e la complessità strutturale delle opere, dovranno affrontare problemi molto differenziati: il piccolo Tempio di Baalshamin, la grande cella del Santuario di Bel, i sepolcri a torre della Valle delle Tombe, la lunga Via Colonnata, annientati, come nei primi tre casi, o danneggiati come nel quarto, potranno tutti essere restituiti all’antico splendore, ma le difficoltà saranno assai differenziate. Problemi più ardui presenterà certo lo spettacolare sancta sanctorum del Tempio di Bel, polverizzato quasi certamente in molte delle sue straordinarie decorazioni scultoree. Benché apparentemente annientate, le torri funerarie, per la semplicità della loro struttura, potranno essere ri- costruite, mentre le molte sculture che ancora ospitavano sono in grandissima parte scomparse.
GLI INTERVENTI PIÙ SEMPLICI
Minori problemi offrirà il Tempio di Baalshamin, di cui, come rivela la documentazione fotografica, diversi elementi architettonici fondamentali sono scampati alla distruzione. I restauri alla grande Via Colonnata appaiono tra i più semplici da realizzare.
LA RINASCITA IN TRE PUNTI
Più esteso e disinteressato sarà l’impegno solidale che si metterà in campo, più positivo sarà il risultato della rinascita di Palmira.
Primo, è necessaria un’ampia e coordinata collaborazione internazionale di riconosciute autorità scientifiche.
Secondo, ogni intervento dovrà essere richiesto e ratificato dalle Autorità culturali della Repubblica Araba Siriana.
Terzo, tutte le attività dovranno svolgersi, al livello di progetto e di realizzazione, sotto il patrocinio effettivo dell’Unesco.
Dopo i disastri proditoriamente inferti a quel gioiello del patrimonio culturale universale che è Palmira, se la ricostruzione diverrà l’occasione di una nuova forma di colonialismo, si perpetrerà un secondo scempio, inaccettabile all’alba del terzo millennio.

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L’ARCHEOLOGO AMR AL-AZM “Lasciamo perdere il 3D crea solo dei simulacri”

da La Repubblica, 30 marzo 2016

di ANNA LOMBARDI

«Sì, il peggio sembra passato: anche se con lo Stato Islamico non si può mai dire, lo abbiamo già visto ritirarsi e poi tentare nuove offensive. Ma di sicuro a Palmira c’è tanto da fare: spero solo si agisca con metodo, senza compiere atti frettolosi». Il professor Amr Al-Azm è l’archeologo che per anni ha guidato i laboratori di restauro dei musei statali siriani. Ora vive in America, dove insegna all’Istituto di studi Mediorientali della Shawnee University, in Ohio. «I danni fatti dall’Is li conosciamo tutti, sono immensi. Ma la buona notizia è che durante l’offensiva non ne sono stati fatti di peggiori. Ora però bisogna vigilare sulla ricostruzione affinché non diventi un mero spot propagandistico».
Perché, cosa teme professore?
«Una ricostruzione frettolosa, che ignori il protocollo da applicare in questi casi. Fatta solo per dire al mondo che l’esercito di Assad è tornato in possesso di Palmira».
Quali sarebbero i passi necessari?
«Innanzi tutto documentare lo stato reale dei monumenti: perché oggi contiamo solo su foto prese da lontano o in segreto dai pochi attivisti ancora in zona. Bisogna mandare subito esperti sul terreno in grado di valutare la stabilità dei monumenti. E cominciare al più presto a raccogliere e catalogare i frammenti dei monumenti distrutti. Le pietre vanno recuperate e catalogate una ad una. Come in un puzzle, si tratta di un processo lungo, ma un restauro diverso potrebbe fare più danni».
E la ricostruzione con la tecnica 3D di cui si parla tanto?
«Con quella si possono al massimo realizzare simulacri che non avrebbero certo lo stesso valore di un restauro archeologico reale. La mia idea è che per l’Arco di trionfo si possa ancora fare qualcosa, le pietre sono lì. Mentre per il tempio di Bal, ecco, magari si può immaginare un restauro fatto con pietre vere e sopperire quelle mancanti col 3D. Ma in ogni caso sarà qualcosa di completamente diverso, perché in questo tipo di ricostruzioni devi mostrare cosa è autentico e cosa non lo è. Anche ricostruito, non sarà mai più in grado di dare la stessa emozione dell’originale».
Se fosse lei a decidere, cosa farebbe?
«Per me la soluzione migliore è restaurare al meglio quel che resta e magari creare un piccolo museo che raccolga la memoria di quei recenti fatti atroci: foto, pietre, testimonianze. Ma il dibattito è aperto».
A Palmira ci sono dei “Monuments Men”, attivisti che si occupano dei monumenti?
«Ci sono persone che fin quando l’area è stata sotto il controllo dell’Is hanno svolto una attività di monitoraggio fondamentale. Ma ora il loro ruolo sarà differente: e altrettanto complicato. Sappiamo che già in passato, ben prima dell’Is insomma, membri dell’esercito sono stati coinvolti in furti di opere archeologiche in quell’area. Non è escluso che questo si ripeta. E per gli attivisti locali denunciarlo potrebbe essere pericoloso proprio come sotto l’Is».
Sta dicendo che il fatto che l’esercito siriano sia a Palmira non preserva l’area?
«Non mi fraintenda: la presenza dell’Is era senz’altro la cosa peggiore. Ma soldati in un sito archeologico non sono storicamente mai stati una buona soluzione. Non sono interessati a prendersene cura e c’è sempre il rischio che singoli individui rubino qualcosa, anche se si tratterebbe di un danno minore rispetto ai furti istituzionalizzati dell’Is. Quello che serve è una presenza super partes. Ma per arrivarci serve ricostruire le infrastrutture e la città moderna, quasi interamente distrutta».
Pensa che sia prioritaria al restauro del sito archeologico?
«Dal punto di vista umanitario la priorità è assoluta. Bisogna far rientrare la gente in città, anche perché senza infrastrutture ogni restauro, appunto, è impensabile».
Il restauro di Palmira avrà un ruolo nel futuro della Siria?
«Assolutamente sì. Zenobia, la regina di Palmira che si ribellò al controllo romano, è una delle nostre principali eroine, quel luogo fa profondamente parte della nostra identità di siriani. Questa è una delle poche cose su cui concordano anche le parti ostili presenti ai negoziati di pace: il patrimonio culturale comune sarà la base per rifondare il Paese. È la nostra sola speranza di rinascita e di futuro».

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“Ecco perché il Califfato colpisce soltanto certi monumenti”

da La Repubblica, 30 marzo 2016 


Qual è la strategia di distruzione dell’Is?  Un articolo del New York Times fa il punto sulla distruzione di monumenti a Palmira,  nel resto della Siria e in Iraq. Michael D. Danti, professore d’archeologia, spiega:  «Alcuni monumenti sono in condizionipeggiori di altri».  La tesi è che siano stati distrutti monumenti a forte significato simbolico, 
che rappresentano per l’Is “un’eresia” alla loro ideologia e servono ad alimentare la propaganda:  a Palmira, per esempio, i templi di Baal e di Baalshamin, due tombe, una sciita e l’altra sufi,  e la statua di Atena (sopra nella foto).


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Palmira risorge in 3D grazie all’Italia: l’arco di trionfo disegnato da robot

Palmira risorge in 3D grazie all’Italia: l’arco di trionfo disegnato da robot

da Corriere.it

Due aziende toscane all’opera: saranno «stampati» blocchi di marmo grezzo e pietra arenaria. Il 70% del materiale verrà da Carrara o dalle Alpi. Il progetto sarà presentato a Londra a Trafalgar Square il 19 aprile. «Scultura» alta 15 metri, peso di 11 tonnellate

La «nuova» PalmiraLa «nuova» Palmira
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Palmira «ricostruita» in 3D anche grazie a un’impresa italiana. L’antica città siriana devastata dall’Isis potrebbe risorgere grazie alla tecnologia messa a punto dal nostro Paese. Due società toscane stanno lavorando alla realizzazione dell’arco di trionfo di Palmira, costruito quasi 2 mila anni fa, ma polverizzato dai jihadisti lo scorso ottobre. TorArt, azienda di Carrara specializzata in scultura e fondata da Giacomo Massari con Filippo Tincolini, realizzerà l’arco distrutto nel sito archeologico in Siria in partnership con D-Shape, società fondata da Enrico Dini a Cascine (Pisa).

Presentato a Londra il 19 aprile


Gli esperti italiani hanno già presentato al governo degli Emirati Arabi la riproduzione in scala ridotta del tempio di Palmira. Prossima tappa, la ricostruzione in scala dell’arco di trionfo di Palmira, che sarà presentato a Londra a Trafalgar Square il 19 aprile. L’obiettivo, naturalmente, resta quello di installare presto o tardi il monumento in Siria, laddove oggi permane un cumulo di macerie. La tecnica utilizzata per ricostruire l’arco di Palmira è la stampa 3D, sfruttata da D-Shape per legare sabbia e roccia, stampando blocchi di marmo grezzo e pietra arenaria.

«Materiale da Carrara o dalle Alpi»


«Il 70% del materiale che useremo verrà da Carrara o dalle Alpi. Il giorno che ci sposteremo in Siria, utilizzeremo materiali locali», spiega al Corriere della Sera Enrico Dini, ingegnere e fondatore della società. Per la dimostrazione di Londra, infatti, verrà prodotto un arco dalle dimensioni ridotte, rispetto all’originale da installare in Siria. TorArt interverrà in un secondo momento, quando si renderà necessario lavorare e definire la sabbia stampata, per ottenere il monumento. «La nostra tecnica è sottrattiva, andiamo a togliere per dare forma. I robot lavorano assieme ai nostri scultori. Non c’è limite a quello che si può fare e in questi giorni stiamo scolpendo un David a grandezza naturale», dice Giacomo Massari, fondatore di TorArt, che ha stabilito il suo laboratorio dentro famose le cave di marmo di Carrara.
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Palmira «risorge» in 3D grazie all’Italia
«Alto 15 metri e peserà 11 tonnellate»

L’arco di trionfo di Palmira realizzato dalle due aziende italiane, sarà alto 15 metri e peserà 11 tonnellate. Per ricostruirlo saranno necessari circa 70 metri cubi di sabbia, per un controvalore di produzione superiore ai 100 mila euro, a cui vanno sommati i costi di finitura, montaggio e trasporto. Ciascun robot utilizzato da TorArt per la rifinitura ha un costo di circa 300 mila euro. «La volontà è ricostruire Palmira, ma anche i siti archeologici vittime di calamità naturali», ragiona Giacomo Massari. Da Pompei a Sibari, in Italia ci sarebbe solo l’imbarazzo della scelta. Eppure assistere al processo di definizione delle scanalature dell’arco, significa anche restituire a se stessi un po’ di quel senso di bellezza messo a dura prova dalle sconsiderate picconate dei terroristi. Un contributo essenziale alla ricostruzione dell’arco di Palmira è arrivato dall’Institute for Digital Archaeology di Oxford, partner dell’iniziativa assieme al governo degli Emirati Arabi. L’istituto ha distribuito oltre 5 mila fotocamere a civili e volontari in Medio Oriente, per fotografare monumenti e siti a rischio, rimpinguando il Million Image Database con migliaia di foto. Utili a riprodurre le opere in 3D, ma essenziali a restituirci la speranza, contro l’ondata iconoclasta con cui ISIS vuole distruggere la memoria del nostro passato.
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