giovedì 26 novembre 2015

Unesco: pronti i caschi blu della cultura

Da: Il Caffè Geopolitico 25 novembre 2015

Non solo petrolio, razzie di beni privati, acquisto agevolato di armi da Paesi complici: per finanziare la propria guerra, il sedicente Stato Islamico saccheggia i musei e ne rivende i capolavori sul mercato nero globale dell’arte. Per di più, se il patrimonio artistico appare blasfemo, o impossibile da trasportare, sceglie spesso di distruggerlo. Ecco allora la proposta tutta italiana di inviare personale ONU specializzato durante le missioni di pace.
COMUNICARE LO SMANTELLAMENTO DI TRADIZIONI PLURIMILLENARIE – Non convince la tesi per cui il Califfato impiegherebbe tempo ed energie a distruggere un patrimonio culturale come quello siriano, tra i più antichi e preziosi al mondo, “solo” per questioni di mancata accettazione della concorrenza storico-ideologica. Come se abbattere templi e statue potesse fornire l’illusione di essere gli unici autentici padroni di un territorio che ha fatto da culla alle prime civiltà strutturate. Come se devastare un museo equivalesse a ristabilire la supremazia dell’Islam sull’iconografia “infedele” di precedenti popoli. Chiaro per l’appunto che tale tesi non soddisfi, e che dunque questo impegno a eradicare il passato rientri in una più generale strategia di “comunicazione esterna” di cui l’ISIS si serve non solo per terrorizzare l’Occidente e destabilizzare l’opinione pubblica mondiale, ma anche per adescare nuove reclute. Una sorta di esibizionismo che spesso sconfina nel macabro, come ben ricordiamo dalla decapitazione di Khaled Assad, ottantaduenne responsabile del sito archeologico di Palmira, il cui corpo è stato appeso a un palo con manifestazioni di giubilo. Come sottolineato nel rapporto ISPI curato da Paolo Magri e Monica Maggioni, quest’attenzione pervasiva ai mass media e all’autoesaltazione delle proprie “gesta eroiche” non è un fatto nuovo per il terrorismo di matrice jihadista, che da Al-Qaida in poi − ma anche da prima − amplifica la potenza delle proprie azioni tramite la propaganda, rendendo la propria “causa” allettante agli occhi di potenziali “combattenti” e catalizzando da parte dell’Occidente reazioni disarticolate ed esagerate, ma soprattutto estemporanee anziché ragionate, che aggravano il problema fornendo ai jihadisti un vantaggio strategico.

KABUL 2001, BAGHDAD 2003, PALMIRA 2015: LA STORIA SI RIPETE – Quella dei saccheggi e delle devastazioni perpetuate ai danni del patrimonio artistico durante gli eventi bellici è una questione antica quanto il mondo. In area “ex mesopotamica” e, più in generale, nord-orientale si è però caricata spesso − e in particolar maniera negli ultimi decenni − di forti connotazioni ideologiche, e di una ciclicità che non lascia scampo alle responsabilità diffuse di una comunità internazionale troppo passiva. Mir Abdul Rauf Zaker, direttore dell’Istituto Nazionale di Storia di Kabul, ha ben descritto il piacere sadico − quasi si trattasse di una “missione personale su mandato divino” − che pareva invadere i Taliban nel marzo 2001mentre erano intenti a far scempio con l’accetta dei tesori del Museo nazionale della capitale afghana, in ottemperanza all’editto del 26 febbraio con cui il mullar Mohammed Omar Mujahid − poi ridotto in clandestinità dall’attacco statunitense seguito all’attentato delle Torri Gemelle − aveva statuito la distruzione di tutte le opere di arte figurativa (in quanto un’interpretazione ristretta del dettato coranico vieterebbe di raffigurare la divinità per arginare fenomeni idolatrici). E ancora, la sofferenza dei custodi dell’arte si ripropone a Baghdad, due anni dopo, con ingenti razzie all’interno del Museo Nazionale Iracheno, dettate certamente dalla previsione di notevoli ritorni economici, ma al contempo dall’esigenza di manifestare un’insofferenza più o meno giustificabile contro “l’invasore statunitense” e l’esportazione forzata di modelli democratici ritenuti non aderenti al proprio spazio socio-istituzionale. Ma la profanazione raggiunge l’apice anche mediatico dal febbraio all’ottobre di quest’anno, con le violenze perpetrate contro il sito UNESCO di Palmira, e in particolare con il danneggiamento del canaanitasantuario di Baalshamin e dell’arco di trionfo di epoca romana. Già, romana. Sarà un caso? Impossibile evitare di pensare al riferimento a Roma, sede del papato. Peraltro le vestigia di questa “Sposa del Deserto” sono finite coinvolte in combattimenti pluristratificati, con danneggiamenti causati anche da altri attori del conflitto, quali ad esempio le milizie YPG curde, le truppe governative, alcune fazioni dei cosiddetti ed eterogenei “ribelli siriani”. Non solo ISIS, purtroppo, e questo rende tutto più complicato anche a livello di responsabilità che dovranno essere accertate.
REPARTI “OPERATIONS” DELL’UNESCO NELLE MISSIONI DI PEACEKEEPING – In questo quadro tetro, magra (ma non troppo) consolazione può essere suscitata da un proposito − perché di questo ancora si tratta − che ha trovato attenzione e accoglimento da parte del Comitato Esecutivo Unesco di Parigi lo scorso 19 ottobre, e approvazione definitiva per acclamazione da parte della Conferenza Generale Unesco il 13 novembre, e che si spera in tempi rapidi possa essere declinato operativamente. Il riferimento è alla proposta tutta italiana − avanzata dal ministro Franceschini insieme al ministro Gentiloni e al premier Renzi e co-firmata da 53 Paesi con l’endorsement dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza ONU − di includere una “componente culturale” nei reparti di peacekeeping epeace-enforcement destinati a teatri complessi e a rischio come quello siriano. L’Italia, insomma, si confermerebbe protagonista della cultural diplomacy − da altri soprannominata brand diplomacy − sulla scena internazionale, anche in forza della propria indiscussa supremazia storica (nonché della propria posizione di primo Paese al mondo per numero e diversità di siti Unesco). Al momento i dettagli non sono molti, e trattandosi di Nazioni Unite è bene andarci cauti con l’ottimismo: le difficoltà nell’implementazione del progetto saranno molte, a partire dalla composizione di queste task force, fino alla sempreverde carenza di fondi, dalla difficoltà di individuare i criteri per stabilire priorità tra tutti i siti che andrebbero protetti, fino alla possibilità tecnologica di prevenire effettivamente disastri di natura umana. L’impegno italiano in questo senso, comunque, ha radici consolidate: anche in EXPO, durante la due giorni che ha impegnato più di 80 ministri della Cultura da tutto il mondo, la salvaguardia del patrimonio in situazioni di guerra è risultato tema centrale. Le guerre, soprattutto quelle paraufficiali, si finanziano con i traffici illeciti su scala globale: traffici di droga, armi convenzionali e non, tabacco, mercenari, giovani donne, bambini-soldato, organi, oggettistica museale. Si spera che a breve potremo togliere almeno l’ultima voce da questo angosciante elenco. Infine, se si trattasse “solo” di fasti antichi parleremmo di “poca cosa” di fronte alle tragedie umanitarie in essere nel mondo: tutto ciò diviene interessante invece se la volontà di tutelarle si intende quale metafora di un riconoscimento del fatto che per provare a risolvere i conflitti del XXI secolo è imprescindibile la perizia culturale (ovvero la capacità di estinguere il contendere attraverso la mediazione tra codici etnici e intergenerazionali).
IL DIRITTO/DOVERE ALLA TUTELA DEI PATRIMONI DELL’UMANITÀ – C’è comunque un aspetto importante da considerare. Se è noto che i confini e le definizioni del diritto internazionale sono tanto più esposti a differenti interpretazioni e gradazioni attuative quanti sono gli ordinamenti più o meno giuridicamente strutturati che prendono in causa, ciò non può che confermarsi vero per la tutela dei “patrimoni dell’umanità”, materiali (una colonna, una cascata, un volume a stampa, ecc.) o immateriali(un dialetto, un modo musicale, una tradizione coreutica, una preghiera, ecc.) che siano. Ciò peraltro non esclude l’esplicitazione di casistiche precise e dichiarazioni di princìpio in merito all’interno di fonti normative. Nel Chicco in più una rassegna di base dei sovracitati diritti e doveri di ciascuno di noi.

martedì 20 ottobre 2015

Unesco: sì ai caschi blu della cultura

Da: Corriere della Sera 17 ottobre 2015

«Un successo internazionale», dice Franceschini. «Ora subito gli aspetti operativi»di PAOLO CONTIUnesco: sì ai caschi blu della cultura

Sì del Consiglio esecutivo dell’Unesco, l’organismo Onu che si occupa della cultura nel mondo, alla proposta italiana di istituire meccanismi per l’uso dei «Caschi blu della cultura» e di proseguire a lavorare all’interno dell’ Onu per includere la questione culturale nelle missioni di pace come richiesto dal presidente del Consiglio Matteo Renzi all’Assemblea Onu. La risoluzione italiana è stata cofirmata da 53 paesi e sostenuta dai membri permanenti del Consiglio di sicurezza ed è stata votata per acclamazione dopo un dibattito che ha coinvolto la maggioranza delle delegazioni presenti a Parigi, dove l’Unesco ha la sua sede centrale.Ecco come, il 29 settembre all’Onu, Renzi aveva descritto il progetto italiano: «L’iniziativa prevede la creazione di una unità nazionale specializzata — formata dai Carabinieri e da esperti civili — con l’obiettivo di preservare il patrimonio culturale», ha affermato sottolineando che si tratta di una task force messa in piedi su richiesta dell’Unesco. «Quali saranno i suoi compiti? Quelli di operare sia in situazioni di disastri naturali che di guerra con compiti sia di formazione che operativi per proteggere il patrimonio e dare consigli ai governi locali. I caschi blu della cultura nascono sulla base di un modello già sviluppato a livello nazionale».Per il ministro per i Beni e le attività culturali, Dario Franceschini, si tratta di «un successo internazionale del nostro Paese che segue al grande consenso dopo quello ottenuto a Milano con l’approvazione di 83 Paesi della Dichiarazione sulla Protezione del Patrimonio Culturale. L’Italia si conferma come guida nella diplomazia culturale. Bisogna adesso definire subito gli aspetti operativi di questa task force internazionale che dovrà intervenire laddove il patrimonio dell’umanità è messo a rischio da catastrofi naturali o da attacchi terroristici».Con un tweet ecco il commento del ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni: «L’Unesco approva la mozione promossa da noi sulle missioni di protezione del patrimonio nelle aree di crisi. L’Italia è in prima linea per la cultura». Soddisfatto anche il deputato Pd Roberto Rampi, primo proponente della misura con un ordine del giorno presentato alla Camera: «Quella che mesi fa, quando l’abbiamo posta al Parlamento dopo le prime distruzioni in Iraq, poteva sembrare un’idea utopica e irrealizzabile, finalmente prende forma. I Caschi blu della cultura stanno diventando realtà. Le competenze delle nostre forze dell’ordine — prosegue Rampi — nella lotta al traffico di reperti e le nostre operazioni di cooperazione internazionale tanto in Iraq quanto in Siria sono tra le più avanzate e riconosciute. L’Italia può essere il Paese guida e quello della tutela al patrimonio il suo contributo specifico alla lotta al fondamentalismo e al terrorismo internazionale».

martedì 6 ottobre 2015

Siria, Is distrugge arco di trionfo a Palmira

Da: La Repubblica 5 ottobre 2015

Siria, Is distrugge arco di trionfo a Palmira
Un ennesimo sfregio. Un nuovo attacco all'arte. Militanti dell'Is hanno fatto saltare in aria l'arco di trionfo di Palmira, vestigia di epoca romana di almeno duemila anni. Lo riferisce il sovrintendente alle antichità siriane, Maamoun Abdulkarim, citato da Skynews.

Khaled Al Homsi, archeologo e attivista dei diritti umani, ha twittato una foto del monumento prima che fosse distrutto dall'Is, indicando con dei segni rossi le parti dell'arco che non esisterebbero più: la sommità centrale e quella dei due archi laterali.
Ad agosto inizia l'opera di distruzione iconoclasta: il 19 agosto decapita l'antico custode della città della regina Zenobia, l'82enne archeologo Khaled Assad. Poi in rapida successione, il 23 agosto, fa saltare in aria prima il tempio di Ball Amish, e poi il 30 è la volta del monumento icona di Plrmira, il tempio di Bell. 
Il 5 settembre tocca alle tombe a torre di epoca romana. Oggi l'ultimo, solo in ordine di tempo affronto alla storia.
Secondo molti analisti dietro la distruzioni, finora sempre riprese con video di alta qualità, si cela anche il traffico di opere d'arte con cui Isis si finanzia. Prima di far esplodere i templi o i pezzi più grandi, i jihadisti staccherebbero singoli reperti che poi riapparirebbero sul mercato delle opere d'arte. Per questo l'università di Oxford ha lanciato - ma per Palmira è stato troppo tradi -  un piano di mappatura fotografica 3d con droni dotati di telecamere ad alta risoluzione e Gps per immortalare ogni singolo pezzo.