Scritto il 14.2.2016 da Valentina Porcheddu per Il Manifesto
Beni culturali. Paolo Matthiae offre una cronaca ragionata delle devastazioni tra Oriente e Occidente: da Ninive a Cartagine dai santuari di Afrodite alla biblioteca Bayt al-Hikma
Sono spesso eventi catastrofici e violenti a «congelare» nei depositi archeologici resti di civiltà multiformi. Affinché il suo lavoro di ricostruzione storica abbia senso, l’archeologo deve dunque augurarsi di trovare nella terra impronte vigorose del passato. È questo l’amaro paradosso da cui parte Paolo Matthiae – studioso di archeologia del Vicino Oriente – per scrivere Distruzioni, Saccheggi e Rinascite Gli attacchi al patrimonio artistico dall’antichità all’Isis (Electa, pp. 263, euro 24,90). A lui – che con la scoperta di migliaia di tavolette cuneiformi riconsegnò alla luce la regale Ebla (Tell Mardikh, Siria) – spetta l’ingrato compito di analizzare distruzioni recenti e «agghiaccianti», che dissipano il patrimonio dell’umanità in nome di ideologie solo apparentemente nuove.
Il libro è denso e a tratti ostico, perché pagina dopo pagina si accumula il numero impressionante di monumenti e opere da rimpiangere, perdite doppiamente insopportabili quando la cancellazione di una memoria è frutto della scelleratezza degli uomini e non dell’implacabile furia della natura. L’Isis, afferma Matthiae, è un aberrante fenomeno contemporaneo, nel quale si possono ravvisare, tuttavia, istinti «umani» comuni a tutte le epoche trascorse. L’annientamento del nemico, considerato altro da sé e condannato alla perdita definitiva di ogni identità, non è prerogativa dei «soldati» del Califfo Al-Baghdadi.
Gli jihadisti che combattono i «falsi idoli» per tornare alla purezza dell’Islam, sono la malvagia proiezione di spettri ideologici che già si manifestarono nel passato. Con un linguaggio all’altezza di un pubblico di specialisti ma accessibile a tutti, Matthiae redige una cronistoria ragionata delle devastazioni tra Oriente e Occidente, non senza far trapelare i sentimenti che lo animano e che oscillano tra rabbia e costernazione più ci si avvicina al presente. «La città e le sue case, dalle fondazioni ai fastigi, distrussi, devastai, diedi alle fiamme. La cinta muraria interna ed esterna, i templi degli dèi, le torri templari di mattoni e di terra, quanti ve ne erano, io rasi al suolo»: recitano così gli Annali di Sennacherib d’Assiria nel rievocare la distruzione di Babilonia del 689 a.C.
Anche Ninive scomparve nel 612 a.C. per mano di Nabopolassar di Babilonia e del medo Ciassare: gli scavatori ottocenteschi del sito riconobbero gli sfregi nei volti di pietra dei re d’Assiria. Gerusalemme subì un assedio di oltre diciotto mesi. Del palazzo reale, del tempio di Yahweh e delle mura della città, Nabucodonosor II fece macerie: era il 586 a.C. Duecento anni dopo, come racconta Arriano nell’Anabasi di Alessandro, il grande condottiero macedone sentì l’impulso di schiacciare Persepoli. Vendetta fu compiuta per la sofferenza dei Greci, che videro cadere i templi di Atene sotto l’orda dei barbari d’Asia.
Dalle rovine di Cartagine cosparse di sale dai Romani nel 146 a.C. non nacque niente. Il tempio di Salomone depredato da Nabucodonosor II rifiorì, invece, durante il Rinascimento quando Francesco Borromini traspose ciò che di Gerusalemme andò perduto nella tortile Roma del barocco. All’epoca del Califfato degli Abbassidi, nel vero medioevo, la Bayt al-Hikma era la più magnificente biblioteca del tempo e raccoglieva manoscritti non solo arabi ma anche persiani e greci, siriaci, ebraici, copti e sanscriti. Il nipote di Gengis Khan diede Baghdad alle fiamme e una leggenda tramanda che il Tigri si tinse d’inchiostro, visto che l’esercito mongolo non risparmiò neppure il sapere.
La conquista e la distruzione totale di grandi centri del mondo antico avvenne, per Matthiae, in un quadro di opposizione frontale tra culture ostili ma, precisa lo studioso, accanimenti gravissimi si sono verificati nella storia anche nell’ambito di una medesima cultura. Basti pensare alla devastazione dei luoghi sacri ai pagani durante la Tarda Antichità, dopo che l’editto di Milano del 313 aveva «liberato» la religione cristiana. L’imperatrice Eudossia finanziò Giovanni Crisostomo affinché si scagliasse contro Afrodite, i cui santuari erano culle per riti licenziosi mentre gli apologeti infierirono su Mitra, Zeus e Asclepio allo stesso modo in cui i militanti dell’Isis hanno abbattuto gli dèi semitici della cosmopolita Palmira.
Fanatismo religioso e ideologia politica impugnano facilmente le armi, sembra dirci Matthiae, che non fa mai confronti diretti fra passato e presente ma fornisce al lettore gli strumenti per riflettere. La storia è percorsa frammento per frammento dall’autore. Non si tralasciano le vicende della Rivoluzione Francese del 1789, perché persino l’oblio della monarchia venne pagato con la distruzione di cinquantuno tombe di reali nella cattedrale di Saint-Denis e le ceneri dei cuori imbalsamati a Val-de-Grâce.
Arrivata al XX secolo, l’analisi dovrebbe cedere il passo a qualche risposta ma Matthiae preferisce porre a se stesso e agli altri una domanda che rincorre la sua eco. Come è possibile che dopo i micidiali bombardamenti della Seconda guerra mondiale, le cui vittime non furono superiori alle perdite di opere dell’ingegno umano – quattrocentodiciasette solo i capolavori di pittura italiana bruciati nella Flakturm Friedrichshain di Berlino – la storia si sia ripetuta? Coventry, Dresda, Hiroshima. Terrorizzare una popolazione attraverso la minaccia di una distruzione totale, umiliare l’orgoglio e la memoria di un popolo cancellando i simboli della sua eredità culturale, distruggere un’intera città e i suoi abitanti per costringere alla resa un popolo ostinato, sono pratiche che tornano tristemente d’attualità. Ad esse si aggiungono depredazioni e scavi clandestini che finanziano il jihad.
Eppure, all’indomani del 1945 l’Europa sembrava avere preso coscienza della universalità del patrimonio, che aveva favorito con la pace la nascita dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, le Scienze e la Cultura (Unesco). Il compito di salvaguardare il patrimonio dell’umanità sancito nell’articolo 1 della convenzione venne rafforzato in seguito ai conflitti in Medio Oriente con la Convenzione dell’Aja del 1954 ma le distruzioni perpetrate nel 2015 dallo Stato Islamico in Iraq e Siria e il business connesso al traffico di reperti archeologici, dimostrano l’inefficacia dei trattati internazionali. Se l’intangibilità del patrimonio culturale è una sfida dell’oggi, le rinascite – da Bamyan a Palmira – sono vincolate al superamento di altre utopie.
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